24 settembre 2009
I media pubblicano oggi la notizia del primo morto negli scontri tra sostenitori di Manuel Zelaya e forze di sicurezza. Si tratta di un sessantacinquenne deceduto per colpi di armi da fuoco nel quartiere popolare di Flor del Campo, a Tegucigalpa. Altre cinque persone risultano ferite.
Ma ho letto una lettera al quotidiano messicano La Jornada in cui un lettore afferma che le autorità stanno nascondendo i cadaveri, e in base a varie testimonianze i morti potrebbero essere ventuno, in sei località diverse.
Bisogna naturalmente essere cauti con queste voci, ma è anche bene prestare loro un certo ascolto, dato che la giunta golpista sta sigillando il paese e i media per controllare il flusso di notizie. Tra le misure di cui si parla si legge:
- Chiusura di tutti gli aeroporti del paese
- Sospensione dell’erogazione di energia elettrica ai media indipendenti
- Sgombro violento di pacifici dimostranti che manifestano a sostegno di Zelaya
- Taglio della corrente elettrica all’ambasciata del Brasile, che dà asilo a Zelaya (circostanza confermata da Micheletti in un’intervista alla BBC, ma attribuendo la colpa a "teppisti filo-Zelaya")
- Militarizzazione di Tegucigalpa, con la presenza di forze speciali di polizia, esercito e agenti in borghese
- Attacchi con lacrimogeni e armi da fuoco
- Persecuzione dei leader del movimento e arresti arbitrari
- Restrizione del movimento in tutte le principali entrate della capitale
Se le voci peggiori trovassero una conferma il golpe in Honduras sta acquistando in queste ore tinte pinochettiane. Un particolare raggelante è che in ogni angolo di Tegucigalpa si sente l’inno nazionale sparato ad altissimo volume dagli altoparlanti della polizia.
I fatti accertati finora sono stati comunque sufficienti a indurre Ban Ki-Moon a ritirare ogni assistenza delle Nazioni Unite per la celebrazione delle elezioni del 29 novembre, sostenendo che non esistono le condizioni minime per una serena consultazione, e dicendosi assai preoccupato per la situazione dei diritti umani nel paese.
Il Segretario di Stato Hillary Clinton vede solo "provocazioni", irresponsabilmente attuate da entrambe le fazioni, e invita alla calma e al dialogo.
Ma dialogo su che cosa? L’attuale presidente costaricense Oscar Arias, già premio Nobel per la pace per la sua opera di pacificazione in Centro America alla fine degli anni ottanta, incontrando emissari della giunta e del presidente deposto aveva presentato nelle settimane passate un piano in tre punti per una soluzione alla crisi:
- Ritorno in carica di Manuel Zelaya per guidare un governo di riconciliazione nazionale che includesse membri dell’attuale giunta golpista
- Amnistia per tutti i crimini commessi a partire dalla rimozione forzata del presidente il 28 giugno scorso
- Anticipo di un mese delle elezioni presidenziali, attualmente previste per il 28 novembre
Zelaya si era detto d’accordo, ma Roberto Micheletti aveva dichiarato che non avrebbe ammesso in nessuna circostanza il ritorno del suo antagonista. Dichiarazioni rilasciate successivamente al ritorno segreto, avvenuto lunedì scorso, accettano il fatto compiuto, ma chiariscono che la giunta è disposta ad "ascoltare" Zelaya solo dietro la sua promessa di un ruolo del tutto passivo da qui alle elezioni di novembre.
Il rifiuto di ogni sostanziale apertura verso Zelaya viene giustificato alla luce della completa inaffidabilità democratica di quest’ultimo, che sarebbe culminata con la decisione di tenere un illegale referendum costituzionale in giugno per allungare i termini del suo mandato.
Spieghiamo di che si tratta. La Costituzione dell’Hondueras effettivamente proibisce che si tengano referendum costituzionali. Ma Zelaya aveva soltanto indetto un referendum consultivo, senza esito vincolante, per sondare la volontà delle popolazione circa una riforma della Costituzione. Se il referendum fosse stato approvato ci sarebbe stato un nuovo voto, probabilmente in concomitanza con le presidenziali di novembre, per l’elezione di un’assemblea costituente incaricata di riscrivere la Costituzione.
Il comandante delle forze armate aveva rifiutato di cooperare all’organizzazione logistica del referendum consultivo, e Zelaya lo aveva destituito dall’incarico. La Corte Suprema aveva allora ingiunto al presidente di richiamare il comandante al suo incarico, ma Zelaya aveva rifiutato. Allora il parlamento, presieduto da Roberto Micheletti, seconda carica dello stato, aveva votato la decadenza del presidente, e il 28 giugno, il giorno previsto per il referendum, oltre duecento militari si sono presentati a casa di Zelaya per espellerlo dal paese.
Stati Uniti, Unione Europea e paesi latinoamericani non hanno riconosciuto la giunta golpista, riferendosi fino ad ora a Zelaya come al legittimo presidente eletto dell’Honduras. Tutti i paesi dell’Unione Europea hanno ritirato i loro ambasciatori, come hanno fatto molti paesi latinomericani, tra cui il Brasile che ha sospeso tutti i visti per i cittadini honduregni. La Banca Mondiale ha sospeso tutto gli aiuti, e gli Stati Uniti hanno revocato i visti per alcune personalità della giunta golpista e hanno sospeso gli aiuti non umanitari al paese per un valore di 30 milioni di dollari.
Zelaya ha sempre respinto l’accusa di cercare la rielezione, ma in ogni caso un’assemblea costituente eletta in novembre non avrebbe potuto cambiare la Costituzione per il gennaio 2010, quando l’incarico presidenziale di Zelaya sarebbe scaduto e al suo posto ci sarebbe stato un altro presidente. Gli ambienti conservatori honduregni erano in realtà preoccupati della profonda svolta a sinistra impressa al paese dal presidente, e in particolare al suo forte avvicinamento a governi progressisti come il Venezuela, l’Ecuador e la Bolivia, per non parlare del Brasile di Lula, che in queste ore si sta dimostrando il più potente alleato di Zelaya.
E’ giunta notizia che Manuel Zelaya figura tra i capi di stato che hanno chiesto la parola all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, e figura normalmente in lista. Ma se lasciasse il paese non avrebbe più possibilità di fare rientro. Pare che nel suo avventuroso viaggio di ritorno di quindici ore sia passato per venti posti di blocco chiuso nel portabagli di un’auto. Se lasciasse l’Honduras c’è da credere che i controlli alle vetture sarebbero più coscienziosi.
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